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Il rosso e il blu: la recensione

Sullo sfondo di una scuola romana si intrecciano tre storie.

Un professore di storia dell’arte (Roberto Herlitzka) ha perso la passione per il suo lavoro ed è inseguito da una sua vecchia alunna, segretamente innamorata di lui.

Un giovane supplente di lettere (Riccardo Scamarcio), ingenuo ed entusiasta, ce la metta tutta per appassionare i suoi alunni e cerca di salvare una studentessa eccentrica e ribelle.

Una preside rigida e inappuntabile (Margherita Buy) è costretta, suo malgrado, a occuparsi di uno strano alunno dimenticato dalla madre.

“Nella scuola c’è un dentro e un fuori e noi ci dobbiamo occupare solo di ciò che è dentro” dice ad un certo punto il personaggio interpretato da Margherita Buy.  Ispirato all’omonimo libro di Marco Lodoli e diretto da Giuseppe Piccioni, “Il rosso e il blu” è una commedia sul mondo della scuola o meglio sulle interrelazioni che si vengono a creare tra l’interno scolastico e l’esterno quotidiano.

Roberto Herlitzka e Riccardo Scamarcio in Il rosso e il blu

Il problema principale de “Il rosso e il blu” è quello che sembra attanagliare cronicamente certo cinema italiano mosso dalle migliori intenzioni ma la cui resa filmica è a dir poco insoddisfacente.

Manca di coraggio infatti questo “Il rosso e il blu”: il coraggio di andare oltre delle logiche narrative consolidate e prevedibili, oltre uno sguardo semplicistico e (troppo) indulgente sulla realtà.

I tre personaggi principali de “Il rosso e il blu” sono delle vere e proprie maschere, codificate in maniera eccessivamente didascalica: c’è il professore disilluso, cinico per auto imposizione più che per reale convinzione; c’è l’idealista sognatore, un po’ svampito e facile da raggirare, approfittando della sua eccessiva buona fede; c’è la preside incarnazione miope e severa dell’autorità.

Un campionario di stereotipi, dunque, dai quali Piccioni non pare avere nessuna intenzione di discostarsi, ma anzi li abbraccia in toto e arricchisce il tutto con una buona dose di sentimentalismo d’accatto, tanto melenso quanto superfluo e telefonato.

Il tutto si risolve quindi con il solito “volemose bene”, con l’annacquamento dei conflitti in nome di una edulcorata e rassicurante riscoperta di umanità. In fondo anche i personaggi più cinici e cattivi hanno un loro lato buono nascosto che non aspetta altro che emergere.

I tre protagonisti de Il rosso e il blu

“Il rosso e il blu” è quindi un film piatto e prevedibile nella sua deriva di denuncia sociale all’acqua di rose e buoni sentimenti a buon mercato.

Se poi si pensa che basti mostrare una preside che porta da casa la carta igienica per i bagni dell’istituto o la forsennata lotta per una sedia da dividere per tre classi  per raccontare il disfacimento di istituti formativi abbandonati a se stessi, ecco che il bozzetto e la caricatura inerme prendono il sopravvento e diventano prodromi di un’incapacità di raccontare il presente e le sue brutture in maniera efficace e pungente.

“Il rosso e il blu” assume gli stilemi della commedia, ma ne assopisce tutti i tratti più dissacranti. Il film di Piccioni non si prende mai dei rischi, sempre attento a risultare politicamente corretto, mai ficcante nella sua satira e sorretto da un cinismo di maniera (quello del professore anziano che ha perso ogni voglia di insegnare), destinato a liquefarsi rapidamente per non corrodere troppo il pressapochismo buonista e esiziale del film.

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